
5 febbraio 1783
Il 5-6-7 febbraio 1783 un violento terremoto sconvolse la Sicilia funestando particolarmente Messina che venne rasa al suolo. Il flagello colpi anche la Calabria. Fu una calamità che si aggiunse alle altre che affissero queste regioni già di per sè diseredate.
“In Palermo dove il tremore della terra crasi anche avvertito e dove era stata intesa al vivo la pietà del messinese disastro non si lasciò d’invocare con pubblica preghiera l’Altissimo, perché sospendesse gli effetti del suo flagello sopra la seconda Città del Regno e di ringraziarlo per non avere esteso quella calamità sull’Isola tutta’’ (G.E. Di Blasi)”.
A Cefalù si ebbe solo l’eco di quel flagello. Il popolo devoto gridò al miracolo ed ancora una volta alzò pubbliche lodi al Cristo Pantocratore, al SS. Salvatore che aveva voluto risparmiare la sua Città.
Cefalù ne volle imperituramente ricordare l’avvenimento celebrando solennemente la data del 5 febbraio.
“Quando la Divin Provvidenza nei suoi eterni decreti volle, tra le cose create, che vi fosse l’uomo, lo formò dotato di sentimenti di pietà e di beneficienza perchè doveva la specie umana vivere in Società; onde noi naturalmente ci sentiamo commossi all’aspetto del male altrui: tuttavia se l’animo non si rileva con la forza della virtù, si suole tanto depravare il cuore degli uomini, mercè le cattive abitudini che sovente si rende insensibile nelle calamità dei suoi propri vicini e congiunti.
Ma in questo giorno che gli ordini più cospicui ecclesiastico e secolare di questo Regno io veggo adunati a celebrare uno straordinario Parlamento riguardo con ammirazione e con infinita consolazione e piacere questo può operare nel generoso cuore di così illustre e rispettabile congresso l’Umanità la sensibilità, lo spirito nazionale e lo zelo per il Real servigio; e certamente non può succedere nel mondo causa più plausibile per muovere sensi di commiserazione che la fatale disgrazia della Città di Messina, e lo stato deplorevole dei Messinesi, per cui venire ora sospinti a prestare aiuto e conforto ai divisitati vostri compatrioti e fratelli. Opera degna di eterna memoria e da segnalarsi nei fasti di questa nazione famosa dai più remoti secoli per azioni nobili e generose. Difatti ne rimangono dappertutto gli encomi ed il plauso del soccorso che volontariamente avete offerto in queste miserabili circostanzedi tanta mina non solo della Città di Messina caduta al suolo e ridotta in poca polvere e sassi, ma eziandio delle vicine Calabrie distrutte”.
Così parlò il Marchese Caracciolo nella sua avvincente introduzione il 2 luglio 1783, solo quattro mesi dopo quei terrificanti giorni a febbraio quando la paura afferrò il cuore dei nobili siciliani. La natura stessa sembrava essersi rivolta contro di loro. La Sicilia, una terra abituata alle prove di forze naturali come piaghe e siccità, ora ha affrontato un terremoto a differenza di qualsiasi altro. Per giorni, la Terra ruggì e si piegò di tremori implacabili. Sembrava che le forze più oscure e malevoli dell’isola avessero cospirato per scatenare la distruzione e la morte. Bridges, chiese, strade ed edifici venivano inghiottiti interi, svanendo come i ciottoli cadevano nell’oceano. La terra tremava e con essa, i cuori della sua gente. Per alcuni, sembrava l’apocalisse, una reazione divina per coloro che si erano allontanati dal percorso della giustizia e della compassione.
Questo è stato un momento di azione, non semplici parole.
Il ruggito iniziale e devastante che ha ridotto Messina a macerie e polvere è stato seguito da una serie di terrificanti scosse di assestamento, come se una mano gigante scuotesse le basi stesse del mondo. La morte e la distruzione hanno spazzato incessantemente da est a ovest. Il numero di vittime è rimasto tragicamente incalcolabile, così come il numero di rifugiati alla ricerca disperata di rifugi in aree che sono state risparmiate il peggio della devastazione.
Presto, una voce si diffuse tra i sopravvissuti in fuga: un angolo di terreno siciliano, Cefalù, fu risparmiato. Entro tre giorni dalla distruzione di Messina, le chiese di Cefalù, i monasteri e le case private traboccarono di rifugiati colpiti dalla paura. Perfino la residenza del vescovo era piena di coloro che cercano rifugio e comfort. Sorprendentemente, gli abitanti del Cefalù hanno mostrato un innegabile senso di calma e sicurezza, convinti della loro immunità a tale calamità. Questa serenità, tuttavia, non era il risultato di apatia o cinismo. Fu un mistero che sarebbe stato presto rivelato nei giorni che seguirono, mentre il popolo di Cefalù si riunì per offrire il Ringraziamento a Dio per la loro protezione.
Le porte della chiesa basilica furono aperte a tutti. L’icona di Cristo Pantocatore fu sollevata in alto e il sacramento fu trasportato in solenne processione. Il vescovo di Cefalù, a piedi nudi, guidò la processione per le strade della città, ringraziando Gesù il Salvatore che, secondo la fede del popolo, aveva inviato segni di protezione. Si era verificato un miracolo: Cefalù era stato risparmiato dal flagello. Nello stesso punto in cui il vescovo offriva il suo Ringraziamento pubblico, i cittadini eressero una chiesa, conosciuta come “Salvatore Piccolo” o “SS. Salvatore del terremoto “, una testimonianza della gratitudine e della fede della città.
Tratto e in parte riscritto dal libro “CEFALÙ AL DI LA’ DELLA STORIA” di Domenico Portera

