TANTI ANNI FA NEL CIELO DI CEFALU’
La città di Cefalù, durante la seconda guerra mondiale era considerata la più sicura, per cui divenne rifugio per tanti sfollati soprattutto provenienti da Palermo. Non mancarono, tuttavia, le minacce di bombardamento o la paura che ciò potesse accadere.
L’episodio che raccontiamo è nella memoria di tanti cefalutani che l’hanno potuto ascoltare dalla viva voce del protagonista: un ufficiale dell’aviazione americana.
La Rocca è un immenso scudo. Chi vuol tentare di sganciare qualche bomba, se va troppo in alto, può essere sicuro di colpire il mare o le colline disabitate o quasi.
Chi parlava aggiungeva anche, per dire che sapeva quel che diceva: “E poi la Cattedrale è cosi visibile che è facilissimo scoprire di che città si tratta, di una Città che non è sicuramente un obicttivo militare”.
Tali argomenti sviscerati per confortare il popolo non stavano a significare assolutamente che ci si sentisse tranquilli.
La guerra è guerra e poi le bombe sono cieche.
Quando suonava la sirena d’allarme posta al culmine del Palazzo comunale era sempre un momento di tremendo terrore per la popolazione.
La città per la sua struttura non poteva garantire alcun rifugio, rimanendo in casa, ma rimanevano naturali e sicuri rifugi le grotte della Rocca ed il Palazzo Vescovile quasi attaccato alla Cattedrale che possedeva, tra l’altro degli interrati che offrivano una certa sicurezza a chi chiedeva asilo.
Suonato l’allarme avveniva un’evacuazione della Città ed in pochi minuti.
Non mancarono coloro che rimanevano in casa. Erano pochi! Non ostentavano coraggio quanto convincimento che quando una cosa deve accadere accade. Punto e basta.
Da qualsiasi parte della Città, in qualsiasi punto ci si rifugiasse di notte, si potevano udire le immani deflagrazioni delle bombe che cadevano su Palermo. Suoni terribili che sono rimasti impressi nella memoria dei più.
9 maggio 1943, i danni dei bombardamenti su Palermo - No Audio
Tra i più famosi bombardamenti è rimasto quello del 9/10 maggio 1943. Famoso per la distruzione, le lacrime, il terrore che seminò nella popolazione. Quel terrore che attanagliò l’animo dei ccfalutani che sentirono quella notte tremare le loro case, che videro, benché Palermo si trovi a 70 chilometri, i lampi allucinanti che seguivano le esplosioni.
Fu un incubo che durò tanto, ma tanto tempo che non fece dormire più sonni tranquilli e che si accrebbe quando all’indomani a centinaia si precipitarono su Cefalù i poveri sfollati di Palermo che volevano nella Città di Cefalù trovare ricovero.
Gente che aveva impressa negli occhi l’immagine del terrore e della morte e sul viso la sofferenza ed il dolore. Le descrizioni che essi fecero di ciò che a Palermo era accaduto era certamente inferiore alla realtà, non riuscivano a dare la reale porrata della distruzione e della morte che si erano abbattute sulla Capitale; ma erano di già tanto, ma tanto impressionanti.
Nessuno si senti più tranquillo… anche quando gli sfollati assicuravano che la situazione di Cefalù era troppo diversa.
“Sarebbe la vostra Cattedrale l’obiettivo militare da distruggere?” Giustamente sosteneva qualcuno.
Ma… da quel 10 maggio quando si sentiva la sirena d’allarme la gente si sentiva travolta dalla paura.
Il rombo, anche se pur lontano, di un aereo diveniva terrificante anche quando, poi, non accadeva alcunché….
Ma un giorno Cefalù temette che il peggio tante volte paventato stesse per accadere. Erano passati tre anni dall’inizio della guerra, ed in fondo, tutto era trascorso tranquillo: distruzione c morte giungevano come eco a Cefalù, dolorosa si ma sempre un’eco.
Dunque, la popolazione temette il peggio per la presenza un giorno di un chiattone della marina tedesca che era venuto ad ormeggiare nel molctto della cittadina.
Si diffuse tra la popolazione un’inquietudine tremenda, un allarme che non era affatto esagerato in quei tempi.
Si pensò di rivolgersi ai camerati militi fascisti perché persuadessero i camerati nazisti a lasciare Cefalù. Ma essi, i camerati, erano troppo… camerati perché si opponessero ai tedeschi. Si pensò di rivolgersi al Vescovo il quale volle recarsi personalmente al molctto, seguito da una processione di popolo.
Non fu lunga, non fu breve la conversazione, tra il biondo comandante del piattone e l’austero prelato.
Una conversazione pacata con a breve distanza tanta gente fiduciosa e tranquilla. Tranquillità che solo per qualche istante era stata turbata quando era avvenuta una leggera confusione… la quale si seppe dopo, era stata causata dopo che un cittadino, poco prudente, aveva pronunziato un non raccomandabile “fuori i tiranni” con il conscguente prelievo di costui da parte degli zelanti camerati militi fascisti che non sopportarono cotanta temeraria offesa nei confronti dei valorosi alleati.
Malgrado l’autorevole mediazione del Vescovo, il chiattone non si mosse e del resto sarebbe stato ugualmente tardivo ogni spostamento perchè di già qualche ricognitore nemico aveva sicuramente fatto la sua brava segnalazione della presenza di quel mezzo militare nella città di Cefalù.
Ed infatti, quando scese il buio della notte si avverti il rombo minaccioso del motore di un aereo.
Si senti più vicino sempre più vicino e più basso. Poi si senti volteggiare come se stesse per lanciare qualche borni». Si allontanò e ritornò. Era forse il momento dell’attacco.
Si senti ancora l’aereo allontanarsi e stavolta definitivamente con grande sollievo per rutti.
Passò qualche mese da quella notte di incubi e di spaventi.
Gli anglo-americani sbarcarono in Sicilia e in poco più di un mese si impadronirono dell’isola. Molti furono i soldati di stanza a Cefalù.
Tra i tanti anonimi soldati uno più particolarmente fu notato dalla popolazione: non perchè fosse un graduato e dell’aviazione americana, piuttosto perchè si muoveva appoggiato su stampelle, dopo che era stato seriamente ferito.
La prima cosa che stranizzò la gente, ormai fatta esperta di cose militari, fu come mai egli non fosse rimpatriato per la convalescenza, dacché ne aveva diritto.
Si seppe presto che egli aveva preferito Cefalù quasi per devozione, la gente notò che egli era profondamente innamorato della Cattedrale; che egli fosse un fervente cattolico; era profondamente innamorato non esclusivamente dell’arte musiva, ma piuttosto profondamente compreso della fede verso il Cristo Pantocratore che è nell’abside della Cattedrale.
Si seppe ben presto tutto ciò che era alla base dei mille sentimenti del giovane graduato aviere americano.
Fu noto anche che costui era il pilota, che quella notte famosa quando la Città di Cefalù temette il peggio, quando la popolazione visse momenti di angoscia, quell’uomo era stato preposto a bombardare la città di Cefalù per via di quel piattone presente nel muletto.
II giovane graduato con sincera commozione spiegò che dopo diverse evoluzioni, quando si senti sicuro di poter sganciare la prima bomba, vide nel Cielo una gigantesca mano che gli intimò di fermarsi, che gli impedi di compiere l’operazione.
E quell’ufficiale americano aggiungeva ancora con una punta di sincera commozione: “Quella mano era del Vostro Cristo Salvatore e protettore della Città. Non voleva che la sua città prediletta fosse distrutta…”
Questo ripetè con profonda commozione, la stessa che è rimasta nel cuore e nella mente dei cefalutani, che avevano sempre sentito dire oggi come ieri, che Gesù Salvatore della Città di Cefalù, non era nuovo a questi miracoli per il bene della sua Città.
Tratto da: “Cefalù al di là della storia” di Domenico Portera