Giovanni Maria Cavallaro
Un cefaludese che non meritava di essere dimenticato.
Giovanni Maria Cavallaro, figlio di Vincenzo e di Maria Luisa Bianca, nacque a Cefalù il 16 aprile 1869 nella via Francavilla, quartiere popolare prossimo alla cattedrale ruggeriana di cui sin dalla sua più giovane età sentì profondo fascino amandola in modo appassionato.
Acquisita la licenza liceale non volle proseguire gli studi, dedicandosi, per gli anni a venire, al commercio della manna, specialità di cui era profondo conoscitore. Dalla sua piccola fabbrica situata nelle adiacenze di piazza San Francesco, la manna da lui prodotta, in varie tipologie, fu esportata in tutto il mondo.
Nonostante fosse particolarmente impegnato nell’attività commerciale, non trascurò mai le ricerche e gli studi sulle origini e la storia di Cefalù.
Convolò a nozze il 20 febbraio 1906 con Angelina Cassata. Da questa felice unione nacquero il 28 ottobre 1909 il primogenito, battezzato con i nomi di Bernardino Augusto Napoleone, e il 16 novembre 1911 il secondogenito ed ultimo figlio, battezzato con i nomi di Vincenzo Salvatore Tommaso.
Il Cavallaro non fu apprezzato quanto meritava dai saccenti locali perché non ebbe titoli accademici ma fu, per anni, apprezzato corrispondente del quotidiano “L’Ora” di Palermo, del “Giornale di Sicilia”, del “Popolo di Roma”, del “Turismo d’Italia”, della “Rivista artistica ABC” e della rivista cefaludese “Kefa”, che ebbe un fortunato periodo editoriale negli anni 1947- 1948.
Tipo un po’ scapigliato, come amava definirsi, si documentò e scrisse su alcuni monumenti quali la cattedrale, il Tempio di Diana e persino su alcuni oggetti del tesoro della basilica cattedrale, avanzando delle ipotesi circa il destino di alcuni arredi sacri scomparsi durante la dominazione austriaca del XVIII secolo.
Dal 29 novembre 1932 fu solerte e apprezzato segretario della Deputazione Mandralisca, altro polo culturale unitamente alla cattedrale, alla cui biblioteca donò molti volumi, individuabili per il suo particolare “Ex Libris”. Lasciò con grande rammarico quella Deputazione il 22 aprile 1940, ma solo per raggiunti limiti di età.
Conoscendo il suo l’amore sviscerato per la storia e la cultura, sicuramente il periodo da lui vissuto in Fondazione sarà stato pregno di interessi e progressi culturali.
Fu lui, in tempi non sospetti, il primo a mettere in dubbio la diceria dell’Ignoto marinaio, nata non si sa come e perché. A questo periodo risale un suo articolo per il quotidiano “L’Ora” del 12 febbraio 1932, n. 36, dal titolo “Sopra un ritratto di Antonello da Messina” che dopo una tirata d’orecchi ad Adolfo Venturi, colpevole di avere dedicato soltanto tredici parole al ritratto nella sua Storia dell’arte italiana, e alla Soprintendenza ai monumenti di Palermo, che compilando una scheda inventariale lo descriveva come “il mezzo busto di un uomo completamente raso” fa alcune felici considerazioni ed avanza delle ipotesi sul personaggio ritratto dal massimo ritrattista rinascimentale italiano, ipotesi che trovano oggi, dopo più di 80 anni, conferma nei recenti studi condotti dallo scrivente, da Salvatore Varzi e da Alessandro Dell’Aira, autori di “Sfidando l’Ignoto. Antonello e l’enigma di Cefalù”.
Al Cavallaro si deve anche la pubblicazione nel 1939 di un piccolo volume dal titolo “Note di Storia cefaludese”, edito a sue spese in 125 copie, dalla storica tipografia cefaludese di Salvatore Gussio. In esso furono raccolti tutti gli articoli scritti tra il 1929 e il 1938, che dimostrano la sua dedizione alla città che gli diede i natali e la sua felice intuizione riguardo ad alcuni aspetti della storia cefaludese.
Giovanni Maria Cavallaro morì a Cefalù nella sua casa in Viale principe Umberto 15, l’odierna via Roma, nel pomeriggio del 17 febbraio 1949, a causa di una polmonite trascurata e malcurata.
Chi ha avuto occasione di leggere gli scritti del Cavallaro si sarà reso conto dell’amore di quest’uomo per i beni artistici, storici e culturali della nostra città. Un uomo che non aveva peli sulla lingua e non temeva nessuno. Se aveva da denunciare leggerezze ed incurie da parte delle autorità ecclesiastiche o civili, lo affermava apertamente raccontando i vari accadimenti con semplicità e cognizione.
Sicuramente non fu ben voluto o ben visto da coloro che chiamava in causa, e di sicuro non furono pochi, visto che non perdeva occasione per deprecare la brutta abitudine dei cefaludesi di occultare e distruggere monumenti storici e testimonianze di un brillante passato vissuto dalla nostra città. Denunciò infatti la distruzione dei mosaici ritrovati in alcuni locali a pianterreno del centro storico, la scomparsa di una iscrizione greca custodita nei locali della Curia vescovile, il ritrovamento e la distruzione del portale d’ingresso dell’antica chiesa di San Giorgio… E tanti altri misfatti consumati negli anni in cui fu attivo.
Malgrado siano passati quasi 70 anni, nulla sembra essere cambiato.
Mentre in altri luoghi qualsiasi testimonianza storica sia materiale che immateriale che denota un fiorente passato vissuto dai nostri progenitori, viene apprezzata, curata, resa fruibile, a Cefalù si continua a violentare e distruggere il centro storico in tutti i suoi aspetti, con fare arbitrario e monopolistico, sotto gli occhi disattenti delle istituzioni preposte alla tutela, siano esse ecclesiastiche o civili.
Sandro Varzi