Carmine Papa, “Il poeta zappatore”
(Cefalù 1806 – 1891)
Spesso descritto come “Il poeta zappatore”, Carmine Papa meriterebbe di essere considerato anche con altre definizioni, poiché nei suoi versi, caratterizzati da una miscela di ironia e narrazioni di esperienze personali, offre una continua riflessione moralistica.
Inoltre, il recupero di numerosi termini e locuzioni che arricchiscono un vocabolario dialettale, ormai messo da parte nella storia della lingua locale, risulta di grande valore per ricercatori e studiosi del siciliano madonita di Cefalù.
Con questo auspicio, ci avviciniamo alla celebrazione dell’esempio di un autore caratterizzato da un istinto creativo che conferma, fin dalla sua nascita, il legame tra poeta e profeta, un argomento spesso controverso e di difficile accettazione. Come si può, infatti, esaminare l’opera di Carmine Papa senza ricondurla alla naïveté del soggetto-Poeta?
Le fonti concordano nel sottolineare che Papa dettava i suoi versi a chiunque fosse disponibile a trascriverli, più o meno in modo estemporaneo.
Questa considerazione è particolarmente pertinente quando si parla di corrispondenze, come nel caso dei rapporti tra il poeta e Cristoforo Grisanti.
I due si erano conosciuti quando Grisanti insegnava a Cefalù e rimasero amici, scambiandosi lettere nel tempo. È chiaro che qualcun altro scriveva le lettere che il poeta zappatore inviava al professor Grisanti, e ci saranno stati quelli che si occupavano di leggere le risposte o qualsiasi corrispondenza che arrivava da parte del geniale cefaludese, dotato di sorprendenti risorse creative.
La nostra ricerca auspica studi che affrontino nuovamente la questione del poeta, considerandolo come persona in possesso di strumenti idonei al risultato artistico, rispetto alla sua estrazione culturale, escludendo ogni accostamento ai “vati dei brindisi di nozze”, a volte applauditi per aver scritto: “S’alza il sole sbatte su una rosa / evviva la sposa” – una categoria che, sebbene prolifica e onnipresente, non è sempre composta solo da istintivi e analfabeti.
Intanto, per chiarire un dubbio certamente legittimo: a quali standard ortografici del dialetto si affidava Papa per le sue improvvisazioni poetiche? Questa domanda non è poi così fuori luogo, considerando che il siciliano non ha mai avuto una lingua comune. Tuttavia, questo interrogativo non si applica alla metrica, poiché ritmo e concetti sono intrinsecamente istintivi. A questo punto, possiamo considerare quanto ogni raccolta del genio poetico cefaludese riconosca la figura del curatore, alla cui sensibilità letteraria e integrità intellettuale sono state affidate le liriche pubblicate.
Citeremo qui alcuni passaggi dal volume “Poesie siciliane edite e inedite” di Carmine Papa, pubblicato originariamente nel 1892 da Gussio di Cefalù.
Quali sono, quindi, gli aspetti obiettivi su cui basare un giudizio, per quanto personale, sulla poesia di questo geniale cantore della sua terra e del suo lavoro? A nostro avviso, possiamo individuare tre momenti distinti: i contenuti, la forma e il pensiero.
Il pensiero coincide ampiamente con i contenuti, i quali si concentrano soprattutto sull’elogio del lavoro e della condizione del contadino, esemplificata dalla frase “scarpe rozze, cervello fino”, un’espressione di antica memoria che contrappone il “villano” a chi vive in campagna. Carmine Papa, infatti, era un contadino praticante e un grande estimatore della zappa, strumento fondamentale per il contadino, capace di arricchire la terra e produrre beni essenziali per la vita umana. La zappa diventa quindi lo strumento magico che, nelle mani del contadino, permette di ottenere dalla terra ciò di cui l’umanità ha bisogno per nutrirsi. Questo tema si espande all’infinito, includendo tutto ciò che la natura offre in modo benefico, dalla pioggia ai venti, dal sole alla neve.
Carmine Papa comprende profondamente il significato dei semi e l’importanza di affidarli, nelle giuste stagioni, al grembo della madre terra, che per lui rappresenta l’arché ton panton taletiano, ovvero il principio fondamentale di tutto. Mentre per il filosofo antico l’elemento rilevante era l’acqua, per il poeta di Cefalù è la terra, in quanto centro che fornisce all’umanità quanto necessario per vivere, tutto tramite l’ausilio della zappa.
“Viva la zappa e abbassu lu cannuni (…) biniditti li zappi e li zappuna, / su lu sustegnu di lu nostru viviri!”.
Per quanto riguarda la forma, che è la base della poesia, il nostro poeta zappatore utilizza termini e locuzioni in modo mirato e sorprendentemente sapiente. L’uso ricorrente della rima baciata o alternata aggiunge un tocco di grazia che suggerisce la spontaneità del dettato poetico, priva di artificiosità.
Questa è la dote magica del poeta: possedere un ricco vocabolario e saperlo usare con grande attenzione, soprattutto nei momenti in cui i versi scaturiscono da occasioni particolari. Si pensi ad esempio all’ultimo giorno di Carnevale, quando Carmine Papa si faceva portare per le strade e le piazze della città per recitare al pubblico festante le sue composizioni dedicate all’atmosfera della festa.
Il componimento poetico creato per il Carnevale del 1872 mette in luce le abilità espressive dell’autore, in particolare la sua autoironia. Ecco due estratti significativi dove si nota l’eccesso e l’inusuale uso della punteggiatura, che sembrano riflettere la voce del poeta:
“Lu Carnalivari di lu 1872 -Figghioli ! È cosa seria, / La solita scialata ! / Mi pari ‘na cumeria / Sta carnilivarata. // Lu munnu è tuttu ‘ntrichi / Chisti ‘un sù cosi frischi, / Sunnu custumi antichi, / Cosi saracinischi. // Qual’eni l’impurtanza / Di stu carnalivari? /Tutt’ inchiri la panza, / E viviri e manciari! //Viditi ogni casata /Li maccarruna appisi, / Cc’è vinu ogni cannata,/ Muscatu e calavrisi. // Cc’èficatu arrustutu; / Miduddi ‘nfazzulati, / Lu stomacu è inchiutu, / Cc’è bummi ‘n quantitati; //Carduna e ramurazzi,/ All’ultimu cannola, / Viditi a tanti pazzi / Cu cutri e cu linzola. // La carni è troppu cara, / Ddocu mi viju abbiuntu, / Rusidda e la gna Sara / Fannu stufatu fintu. // Nuatri jurnateri / ‘Ntra peni e ‘ntra travagghi ! Li poviri mugghieri / Fannu stufatu d’agghi! (…)
Il poema continua con aneddoti, raccontando l’avventura di un suo fratello che, cercando di catturare un topo per ottenere carne per lo stufato, si trova salvato da un gatto che si appropria della preda, evitando così a lui brutti guai. E continua a intrattenere fino ai versi finali, in cui il poeta si presenta insieme a suo fratello, il conducente del carro, con un’ironia unica di Carmine Papa: “Ed eu ‘un mi mettu ‘n cuntu,/ Ca sugnu picciriddu;/ A dirilu m’affruntu,/ Sugnu cchiù vecchiu d’iddu !// ‘Na cosa sula avvisu, / Pri strata lu cunnuciu,/ E chistu eni lu risu./ Chi fa lu babbaluciu ! // Me’ frati e scarsu e mauru,/ Ed eu cchiù fraccu d’iddu, / Però nn’haiu d’addauru / La cruna, miatiddu!”.
Foto Storiche Cefalù
Tratto e riscritto da: Carmine Papa poeta di Cefalù: religiosa celebrazione della terra-madre di Mario Grasso